IL PATRIMONIO STORICO-AMBIENTALE

Associazione culturale

MINIERA DEL RUGÈT E DINTORNI (GRAVERE, TO)

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PROGRAMMA DI RICERCA E VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO
STORICO-AMBIENTALE DI GRAVERE (TORINO)

 

 

 

 

Itinerario JOHANNES

percorso

Miniera del Rugèt e dintorni. I dintorni della miniera (pieghevole)

Percorso intitolato a Johannes , artefice o committente di una  rara iscrizione rupestre commemorativa in latino medievale, incisa nel 1493 su di una rupe non distante dalla strada Refornetto - Arnodera.

 

Lunghezza complessiva (solo andata): 2.246 m.

Dislivello: 80 m. Difficoltà: F.

 

Parcheggi: GRAND’ESSIMONTE (814 m).

 

Punti di osservazione

 

REFORNETTO (827 m).

Itinerario ALLIAUDUS

 

GRAND’ESSIMONTE (807 m). Luxomone è una delle località menzionate nel testamento di Abbone del 5 maggio 739, corrispondenti ai vasti possedimenti che il ricchissimo patrizio franco lascia in eredità all’abbazia benedettina Santi Pietro e Andrea di Novalesa, da lui stesso fondata il 30 gennaio 726. Secondo lo storico L. Patria il toponimo è in relazione «con l’attuale relitto toponomastico di Essimonte a Gravere, anche se in età medievale identificava tutta la vasta dorsale mediobassa della montagna segusina sud occidentale al di sotto della Losa». L’abitato conserva nell’assetto urbanistico le chiusure tipiche dei centri medievali soggetti ad attacchi esterni ( Bastia). A una trentina di metri dal lavatoio pubblico coperto, una nicchia rettangolare al primo piano della facciata di un immobile di proprietà privata in Via Consolata 1 ospita un affresco, sottoposto a vincolo monumentale dal 1946, che, come si ricava dall’iscrizione soprastante, è stato commissionato nel 1632 da Francesco Tornour («FRANCISCVS • TORNORY F•F• 1632); l’opera è molto accurata: tanto la cornice esterna della nicchia, quanto le pareti dell’incasso sono dipinte con la tecnica del finto marmo, così da impreziosire le immagini presenti nello specchio rettangolare; in alto una Madonna del Latte incoronata, indossante un manto azzurro su tonaca rossa con colletto dorato, si affaccia da una nuvola sovrastante due santi: a sinistra di chi guarda, Antonio da Padova, raffigurato giovane, con il saio francescano e un crocefisso fra le mani, a destra, un legionario tebeo con scettro nella destra e palma del martirio nella sinistra; scelti sicuramente in base a esigenze di culto locali, i due santi potrebbero avere la funzione di protettori della maternità. Nel vicolo retrostante, il muro posteriore della medesima casa, tutto in pietre da spacco non intonacate, conserva due strette finestrelle trilitiche: una di esse, nella fascia superiore del muro, è evidentemente rimaneggiata; sull’architrave triangolare di quella inferiore sono incisi due gigli di Francia ai lati di una massiccia croce greca patente. Nel settore Est dell’abitato, la cappella San Giuseppe, menzionata in un documento del 1702, è a navata unica, con finestra a oculo ovale e cella campanaria.

 

LA PITA (785 m). Caratteristico impianto produttivo polifunzionale, sorto come mulino, forse nel 1775 (cronogramma inciso su di una pietra del muro esterno Nord), poi riconvertito in frantoio. Pita (registrato al maschile Pitòu a Bardonecchia da M. Di Maio nel volume Guida dei toponimi di Rochemolles, Pinerolo 2003), significa in effetti frantoio. Come spiega S. Morello in un audiotesto, vi si pestavano mele, noccioli di Prunus brigantina (specie di albicocco autoctona dell’alta Dora e dell’alta Durance), noci, canapa: era usato anche per togliere le glume all’orzo o le bucce alle castagne; il sidro di mele era poi mescolato con le vinacce per la produzione di vin pechit, o pichetta, un vinello consumato nella stagione calda, mentre dai noccioli di Prunus brigantina e dalle noci si otteneva olio alimentare o medicinale. Caduta in disuso all’inizio degli anni 1970, dal 1996 la struttura appartiene al Comune di Gravere che ne cura la conservazione e la valorizzazione. Da qui, si perviene alla casaforte del Mollare percorrendo in discesa Via Burdella.

MOLLARE (765 m). Come per altre borgate di Gravere ( Bastia, v. anche qui a fianco Grand’Essimonte), il nucleo insediativo di Mollare si è sviluppato in modo fitto e serrato, con viottoli talora coperti che si addentrano tra le case. Queste sono in parte addossate al rilievo roccioso a pareti ripide e sommità pianeggiante, idoneo alla fortificazione, che dà il nome all’abitato (molare = monticello arrotondato e prativo). Una foto d’epoca pubblicata da E. Patria e L. Dezzani (La parrocchia di Gravere e la sua chiesa, Borgone di Susa 1979) mostra la vecchia Strada di Francia (attuale Via Comunale) stretta fra le case del borgo. Sul lato Sud della statale n. 24 del Monginevro, proprio in corrispondenza della sommità dello storico Passo di Susa, sorge un relitto architettonico di grande pregio potenziale: una casaforte di origine tardomedievale, oggi profondamente rimaneggiata da discutibili interventi edilizi, nella quale sopravvivono in parte tre delle quattro bertesche angolari (torrette difensive aggettanti dal corpo dell’edificio), una purtroppo menomata in sacrificio agli interessi del trasporto su gomma; il loro aspetto originario è ancora apprezzabile in una foto d’epoca pubblicata da A. Gilibert e L. Michelozzi (Valsusa com’era, Susa 1976), che testimonia anche la presenza di una feritoia nel corpo murario sottostante una delle bertesche. Da qui, si perviene a La Pita percorrendo in salita Via Burdella. Sull’altro lato della statale (passaggio pedonale, ma attenzione agli automobilisti, motociclisti e camionisti che non lo rispettano!), poco più in basso nell’abitato, stretta tra le case, si trova la cappella Sant’Andrea, menzionata in un documento del 1704, a navata unica, facciata a capanna profilata da lesene angolari, timpano triangolare sul portale, tetto a due falde, cella campanaria.

Da Mollare, discendendo lungo Via Saretto e poi lungo la tortuosa Via Chiodo si perviene a un cavalcavia sulla statale n. 24, da cui si risale tra i boschi sino al Colle di Montabone.

 

COLLE DI MONTABONE (793 m). Una iscrizione rupestre del Colle di Montabone (Mountaboùn) spicca nettamente tra le innumerevoli altre della valle di Susa perché è in latino e non in italiano o in francese. Il testo, fortemente abbreviato, si dispone su otto righe, quattro delle quali distanziate ai lati di un blocco centrale. Questa la lettura diplomatica: «jhn-s / •|• / •ao•dmʼ•mo•iiiic• / •lxxxxiii•die•v•me / nˁs nov-eb-s / hoc o / [j] / hoc op», da sciogliere come «johannis / id est / anno domini  millesimo quadringentesimo / nonagesimo tertio die quinta me / nsis novembris / hoc opus / [j] / hoc opus», ossia «ciò è di Giovanni, nell’anno del signore 1493, il 5 di novembre, quest’opera, [?], quest’opera». L’accurata scrittura in minuscola gotica corsiva e l’abbondanza di abbreviature di stampo notarile sono indici di cultura abbastanza elevata, tanto più se si tiene conto della difficoltà opposta alla scrittura dalla rugosità della roccia, che non mostra particolari tracce di preparazione, al di là della scelta di una superficie relativamente piana. La buona conservazione delle lettere si deve non tanto alla compattezza della roccia, che è un calcescisto poco carbonatico, quanto alla posizione su di una parete verticale situata in un anfratto, appena accennato ma sufficiente a fornire all’iscrizione un riparo dalle intemperie. Non è chiaro a quale opera il testo faccia riferimento: una costruzione addossata alla parete, come pensava il geografo C.F. Capello, il primo a segnalare nel 1950 l’interesse del sito, una cava, una fontana/acquedotto, un dipinto o altro?

Itinerario Columbetus

Itinerario Bellinus

Itinerario Alliaudus

Itinerario Johannes                                      

 

 

itinerari Columbetus e Bellinus (pannello didattico nel parcheggio Bernard)

 

itinerari Alliaudus e Johannes (pannello didattico nel parcheggio Bastia)

 

LA MURA (793 m). Situata immediatamente a Ovest dell’abitato del Grand’Essimonte (v. voce qui a fianco), la Mura è una importante opera di difesa idraulica del territorio graverese e, più in generale, segusino. Si tratta infatti di un argine di protezione costeggiante un tratto del torrente Gelassa e avente la funzione di deviarne il corso, in modo da incanalarlo in direzione Nord-Ovest, verso la Piana delle Balme e l’alveo incassato della Dora Riparia, e distoglierlo dal percorso naturale in direzione Nord-Est, verso Olmo e Morelli, ossia nella forra oggi percorsa dalla statale n. 24. Un paleoalveo del Gelassa è in effetti ancora percepibile a Nord-Ovest del Grand’Essimonte. Realizzata nella consistenza attuale a seguito dell’alluvione che colpisce Susa nel 1728 (targa ricordo), l’opera è molto probabilmente il rafforzamento di una sistemazione idraulica preesistente, seppure di minori dimensioni, periodicamente riparata dopo ogni alluvione. Essa potrebbe risalire a età medievale o più antica, in accordo anche con le osservazioni geologiche, che individuano sul terreno diversi mutamenti di corso del Gelassa avvenuti nei secoli, in relazione alla particolare conformazione del territorio a dossi e depressioni glaciali e soprattutto per effetto dei frequenti episodi di sovralluvionamento che hanno causato la divagazione delle acque ( Vignola). Nel segmento osservabile alla periferia del Grand’Essimonte il manufatto appare rifatto o consolidato in epoca recente, a riprova della periodica manutenzione richiesta, mentre più in basso prosegue rettilineo con aspetto più arcaico. Gelacia compare già l’8 marzo 1147 in uno pseudo-originale, posteriore di qualche decennio alla data dichiarata, con il quale l’abbazia San Giusto di Susa si fa riconoscere dal conte Amedeo III (1103-1148) i diritti sulle acque della Dora, del Gelassa e del Cenischia per tutto il territorio di Susa («Durie, Gelacie et Ciniscle, in toto territorio Secusie»); per le opere di regimazione, i documenti non permettono però di risalire oltre il 1371, quando Amedeo VI (1343-1383) stabilisce negli Statuti di Susa che alla locale castellania spetti deviare e respingere le acque dei torrenti («deviacionem et repulsacionem aquarum Durie et Ialacie»).

 

 

 

 

 


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