|
CAMPI A MURICCI E PIETRE
PARLANTI |
|||||
PROGRAMMA DI RICERCA E VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO ARCHEOLOGICO RUPESTRE ALLA FALDE DEL ROCCIAMELONE |
|
|
|
|
|
Le
falde del Rocciamelone nell’area di Rocca del Chiodo conservano un paesaggio
rupestre modificato da attività umane iniziate nell’alto medioevo. Nell’area
non vi sono abitati permanenti, ma solo edifici per la produzione agricola.
Gli abitati permanenti ai margini comprendono cappelle che erano tappe
nell’ascensione rituale al Rocciamelone. Al
ritiro dell’ultimo ghiacciaio, sul substrato roccioso di calcescisti marmorei
si era formato un deposito di pietrame cementato dai carbonati disciolti
nell’acqua di fusione, su cui si erano impostati suoli colluviali in forte pendenza,
che all’inizio dell’Olocene raccordavano le ripide pareti rocciose
sovrastanti il fondovalle tra Urbiano e Foresto. Questi
suoli, inglobanti molti massi isolati, sono poi stati trasformati in
terrazzamenti agricoli semipianeggianti, costruendo interminabili serie di
“campi a muricci” (Catasto Rabbini,
1863). A monte di ogni “muriccio” è stata accumulata la terra disponibile,
formando un suolo coltivabile. Date le condizioni siccitose, prevaleva la
viticoltura. Gli
appezzamenti erano delimitati da muri in pietra a secco. Anche i pali di
sostegno delle viti erano sovente in pietra, ottenuti sfruttando le qualità
scistose dei calcescisti. Nonostante l’attuale abbandono e il deterioramento,
i terrazzamenti sono ancora percepibili, in primavera, autunno e inverno,
quando la vegetazione è scarsa. Altre
opere murarie sono state fatte per incanalare e regimare le acque
superficiali, un tempo più abbondanti che oggi, e per realizzare filari di
lastroni confitti nel terreno con funzione di divisorii fra appezzamenti. Le
aree coltivate erano servite da scalinate rupestri, mulattiere e sentieri.
Partendo dagli abitati (Braida, Nicoletto, Chiamberlando), questi passaggi
consentivano un accesso capillare al territorio, collegandosi alle vie
principali, dirette dal fondovalle alle alpi estive o alla vetta del
Rocciamelone, meta di pellegrinaggio mariano dal 1358, anno in cui Bonifacio
Rotario vi aveva portato il trittico oggi conservato nel Museo Diocesano di
Susa. Nei
secoli, i muri di terrazzamento sono stati rialzati sino ad alcuni metri di
altezza. Era un equilibrio instabile, di cui l’abbandono delle coltivazioni,
negli ultimi 80 anni, ha comportato la rottura. Da un punto di vista
archeologico, il deterioramento rivela frammenti di recipienti ceramici e
strumenti metallici, frantumati, persi o abbandonati dagli agricoltori in un
arco di 1000 anni. Lo studio tipologico di tali materiali consente di
ricostruire la distribuzione sul territorio delle attività umane e di datare
strutture murarie apparentemente senza età. Situazioni
simili sono frequenti in area alpina. Alle falde del Rocciamelone vi è però
una particolarità: la costruzione del paesaggio agrario è andata di pari passo
con la creazione di figure e iscrizioni su roccia, di vario genere ed età.
Queste espressioni hanno fruito della disponibilità di calcescisti marmorei,
roccia metamorfica a grana abbastanza fine e di modesta durezza, su cui si possono
incidere segni precisi senza utensili professionali e che perciò è stata
selezionata dagli incisori. I calcescisti incisi possono essere affioramenti
del substrato levigati dal ghiacciaio, lastroni tabulari isolati affioranti
dal deposito colluviale rimaneggiato, o massi a profilo arrotondato,
dislocati da fenomeni naturali o da azioni umane. Le rocce incise sono in
parte sottoposte, in parte sovrapporte ai muri. Ne è risultata
l’interdigitazione con le strutture agrarie e con i materiali mobili
associati. |
Città di Susa e Passo di Susa, confine
storico tra Savoia e Delfinato nel medioevo, visti da Rocca del Chiodo. Substrato
roccioso in calcescisto marmoreo portato a giorno dalla odierna disgregazione
del till (deposito cementato dai carbonati dell’acqua di fusione glaciale)
che si era formato al ritiro dell’ultimo ghiacciaio. Successione di terrazzamenti agricoli medievali e moderni, oggi abbandonati, in una veduta primaverile. |
La
datazione dei petroglifi si basa sullo studio comparato della paleografia,
delle date di calendario associate alle iscrizioni alfabetiche, delle
sovrapposizioni tra petroglifi di età successive, che consentono di costruire
una cronologia relativa, sulla misurazione dell’alterazione dei calcescisti
marmorei (> 4.5 mm/millennio). Ingannevoli sono invece le comparazioni
formali. Per i rilievi si usano tecniche non invasive messe a punto per
questo genere di delicate testimonianze. La
dissoluzione dei carbonati sta erodendo figure e iscrizioni, gran parte delle
quali oggi poco discernibile senza opportuni accorgimenti di evidenziamento
(luce radente in determinate ore del giorno, rilievi). Ciò rende urgente
studiare, documentare e valorizzare il patrimonio di autentiche “pietre
parlanti” che i frequentatori del territorio hanno tramandato nei secoli,
adottando canoni di comunicazione loro propri, paralleli o alternativi ai
mezzi espressivi ufficiali della cultura curtense, chiesastica e monastica,
prima che tale patrimonio scompaia per consunzione naturale nel giro di
qualche secolo. Particolari
delle falde del Rocciamelone, rispetto ad altre aree con testimonianze
grafiche rupestri, sono le pitture, realizzate a secco su pareti verticali.
La posizione riparata ne ha consentito la sopravvivenza per secoli. Le
analisi chimiche della materia pittorica hanno riconosciuto una calce priva
di piombo, utilizzata sino alla seconda metà del XIV secolo. Il pannello
principale, dal quale si gode una estesa visione della bassa valle di Susa,
raffigura probabilmente uno degli scontri armati per il controllo del Passo
di Susa. Al pari della più nobile tradizione delle pitture a secco di
ambiente aulico piemontese e savoiardo tra XIII e XIV secolo, la scena non è
priva di risvolti politici, forse legati ai vassalli locali dei conti di
Savoia. Gli
studi sono anche rivolti a individuare metodi di consolidamento della materia
pittorica, per garantirne la conservazione sul lungo periodo. Il
riconoscimento del ruolo delle pitture rupestri nella cultura figurativa
medievale dello Stato Sabaudo è importante in tale senso. Privi
di intenti idealistici, petroglifi e pitture rupestri sono riflesso della
frequentazione umana dei versanti, memoria di eventi storici svoltisi in
valle di Susa, o dei frequenti passaggi di giurisdizione in un’area dove gli
interessi del conte (poi duca), dei feudatari, dei centri monastici di Susa e
Novalesa e delle comunità locali erano coalescenti. I pendii terrazzati del
Rocciamelone sono una balconata naturale, punto di osservazione privilegiato
di ciò che avveniva sul fondovalle e sull’opposto versante. A chi li
frequentava per lavoro, caccia o culto non sono sfuggiti la fondazione
dell’abbazia San Giusto (1029), l’ampliamento della Sacra di San Michele
(1120-1130), le calate del Barbarossa (1168, 1174), quella di Enrico VII
(1311), le “cavalcate” armate per difendere o riconquistare la ‘bastita’ di
Gravere (1325-1343), i restauri delle mura di Susa in vista di un assedio
(1391-1392), le ascensioni di Bonifacio Rotario (1358) e del duca Carlo
Emanuele II (1659), la discesa del maresciallo Catinat dal colle delle
Finestre (1690)... Petroglifi
e pitture rupestri sono inoltre un esempio di mimesi dell’arte. Vi si
riconoscono i riflessi delle opere pittoriche e scultoree che i frequentatori
della montagna osservavano in chiese, castelli ed edifici pubblici della
valle, o dei racconti storico-agiografici che essi ascoltavano durante le
funzioni religiose. |
Vigna dismessa, riconoscibile dai pali
in pietra ancora infissi nel terreno. Masso in calcescisto marmoreo con
figure incise (Adamo ed Eva circondati dal serpente), collocato alla sommità
di un muro di terrazzamento agricolo. Parete verticale in calcescisto marmoreo con figura di balestriere medievale dipinta a secco. |
||
|
|
|
|
|
|
|
|||||
Il Patrimonio
Storico-Ambientale
aipsam(et)aipsam.org
aipsam(et)pec.aipsam.org (+ 39) 338-61.84.408 C.F. e P. IVA
11464590014 |
|||||